Emily Dickinson (1830-1886)

La più grande poetessa americana? Ecco a voi Emily Dickinson

Così viene universalmente – e meritatamente – riconosciuta, ma chi non è d’accordo, la schiera dei critici degli “universalmente riconosciuti” (e poi che ne sappiamo cosa leggono su Vega?!) almeno vorrà considerare Emily Dickinson una delle più influenti voci liriche dell’America del diciannovesimo secolo. E come ogni gigante che si rispetti, la fama le arrivò post mortem, ma stavolta… per scelta.

Emily Dickinson, una vita come tante

Una cittadina del Massachussettes, una famiglia borghese, una casa in stile coloniale. La vita di Emily Dickinson inizia come quella di mille altre ragazze della stessa epoca e dello stesso ceto sociale. Ma lei non è le altre mille. Si capisce subito quando a scuola (un collegio religioso femminile) si rifiuta di fare pubblica professione religiosa. Eppure siamo in un periodo di revival cristiani. Dunque è un’eversiva.

Il padre, allora, le fa interrompere gli studi al primo anno delle superiori, temendo che troppa istruzione possa nuocere a quell’animo già di per sé ribelle; in seguito la poetessa dirà del padre che continuava a regalarle libri nella speranza che lei non li leggesse. Emily però è contenta di lasciare la scuola. Continua a leggere in privato – Shakespeare, Keats, Emily Brönte – fa una discreta vita sociale e vive anche qualche amore platonico. Raramente va a fare visita ai parenti fuori città e trascorre quasi tutto il suo tempo libero a scrivere lettere agli amici.

La poesia come vocazione

A venticinque anni succede qualcosa. Non sapremo mai cosa esattamente, anche se certi biografi giurano che leggendo la Bibbia, e precisamente la lotta di Giobbe con l’angelo, Emily capisce che vuole fare la poetessa. Inizia a vestirsi di bianco e si chiude in camera sua a scrivere. Si rinchiude letteralmente, uscendo di rado, neppure il giorno della morte dei suoi genitori.

In questa sua prigione privata e volontaria c’è una finestra che si affaccia sul giardino: Emily per trent’anni osserverà il mondo da lì – manco fosse una clausura – guardando piante e insetti che cambiano a seconda delle ore del giorno e a seconda delle stagioni.

Nessuno sa il motivo di questa scelta, ma naturalmente sono state avanzate molte ipotesi in merito: che fosse una sorta di protesta a una società che vedeva per le donne borghesi un percorso fisso da insegnante o moglie e madre di famiglia, che fosse la reazione a una delusione d’amore cocente, che concepisse la poesia come una missione cui dedicarsi completamente e solo attraverso l’approfondimento della conoscenza di se stessa e la coltivazione della fantasia per raggiungere il bramato senso della vita, che aspirasse a possedere l’arte della scrittura nel profondo della sua anima, lei che considerava il dominio delle parole l’arma più potente… Che fosse semplicemente male di vivere, oppure paura del mondo. Chissà.

Mentre scrive, questo invece è certo, non pensa alla pubblicazione. Non ha bisogno del beneplacito degli altri per esprimere la sua identità e i valori in cui crede. Esce da quella stanza a cinquantacinque anni, morta di nefrite.

Apri il cassetto e trovi il mondo

Dopo la morte di Emily Dickinson, la sorella scoprì nella sua stanza circa 1775 poesie scritte su foglietti cuciti insieme in un raccoglitore. In vita ne aveva pubblicate pochissime, al massimo una decina.

Inizia così, grazie ai parenti, un’opera complessa di editing e pubblicazione che farà scoprire al mondo una voce unica, sensibile e delicata che come tutti i più grandi, è una voce immortale, capace di parlare anche a noi, oggi.

Tutte le sue poesie, per lo più componimenti brevi dallo stile originale, dicono la verità, in un modo o nell’altro, sia che trattino di temi naturalistici e di piccoli momenti della vita quotidiana, sia che parlino all’animo umano, tentando di dare risposte alle sue più annose domande. Spesso trattano della morte, del silenzio di Dio, della fugacità della vita e della certezza dell’immortalità che ci farà ricongiungere con le persone care, o dell’amore. Questi i temi a lei cari.

Da un punto di vista stilistico, Emily è un’innovatrice: usa le maiuscole a modo suo, fa digressioni enfatiche, inventa le lineette tratteggiate, ha ritmi salmodianti, accosta rime asimmetriche, tesse elaborate metafore, si esprime con voci multiple.

Ai critici suoi contemporanei non piace la sua poesia asciutta e brillante nella sua estrema semplicità: allora andava di moda un linguaggio più ricercato e meno ordinario, ma si sa, anche essere incompresi è una caratteristica indiscussa dei geni.

Foto | Original image: unknownderivative work: deerstop. [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Roberta Barbi

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