Plastic Doll
Valeria ha 20 anni e studia informatica all’Università di Napoli. Tutto normale, verrebbe da dire.
Eppure Valeria ha qualcosa di misterioso. Sembra quasi sia chiusa in una bottiglia di vetro.
Ragazza ermetica alla quale, solo dopo quasi due ore di conversazione, riesco a strapparle via un sorriso che finalmente non sa di circostanza. E dire che con le persone ci ho sempre saputo fare.
Ma lei no. Credo sia diversa dalla maggior parte delle ventenni che si vedono oggi in giro. E lo dimostrano, a volte, le crude ed evasive risposte che mi dà quando gli si chiede qualcosa che scava troppo nel profondo.
«Una bambola di plastica… non aspettarti altro». Così ci accoglie il suo blog, insieme a immagini severe nei colori, spesso intrise di una pacata malinconia, se non fosse per quel disegno a matita sbiadita che appare, così leggero che sembra etereo, subito sotto il titolo. «Non troverai emozioni, solo una vita fatta a strisce e un passato che brucia fino a far male. Se entri qui per giudicare e sputare sentenze inizia a tagliarti la lingua… Io non ti piacerò ed è ciò che voglio».
«Un avvertimento per chi entra nella mia tana», sentenzia lei.
Insomma, cinismo puro ci verrebbe da dire.
Eppure quando si scava molto a fondo nella terra arida, con un po’ di pazienza, si può anche trovare un tesoro sepolto.
Ci tiene a precisare subito: «Quello che scrivo non sono poesie né racconti. Forse andrebbero chiamati pensieri. È la mia vita scritta usando metafore».
Plastic Doll apre il primo luglio del 2006 con, a oggi, i suoi 29.000 visitatori. Alla mia domanda sul perché aprire proprio un blog per scrivere di cose personali risponde: «La Passione per la scrittura, per l’arte, per la fotografia… la mia voglia di parlare senza essere giudicata. Ma è anche per la voglia di creare ricordi per non perderne i dettagli. Penso che rileggendo potrei rivivere le emozioni attraverso le parole», aggiunge, «come se fossero note».
La paura di essere giudicata nella vita di tutti i giorni. Chi non ne ha? Ma il suo è un timore diverso, fortissimo. Quasi le fa male non poter essere se stessa e così si rifugia nelle pagine del blog di questa bambola di plastica.
«Ogni cosa è vista e valutata secondo il proprio metro di misura», dice. «Il mio stile di vita magari può non piacere, può apparire strano. I miei modi di fare, i miei silenzi, le mie fughe solitarie… nessuno può capirle. Mi sentivo sotto esame, sempre. Adesso invece inizio ad accettarmi, a comprendere che non tutti siamo uguali… che ognuno vive le Passioni, i distacchi, gli amori, le amicizie con intensità diversa».
Mi viene da chiederle se questo suo modo di scrivere la parola Passione con la p maiuscola sia un caso o un errore di battitura.
Valeria mi risponde che è molto attenta alla forma, almeno tanto quanto io sono attenta a queste apparenti piccole sfumature.
Nel suo blog un post, il n° 280, mi ha colpito per la lucidità e la freddezza della sua forma.
«Ho una strana sensazione dentro,
un’ansia tessuta da velluto nero.
La mancanza di lei questa volta non è la causa…
…è una percezione solo mia.
Io, bambola di plastica, scruto con i miei occhi di vetro,
silente rifletto, valutando le persone che mi circondano.
E adesso, ditemi voi cosa fare…
io vi ascolterò concedendovi il permesso di parola…
Non sono così meschina da promettere di prestare attenzioni ai vostri consigli,
magari ci sputerò sopra o magari sorriderò.
Se avete il coraggio venite pure al mio cospetto…
e parlate, per una volta ponderando le parole…
Non sprecatele, hanno un loro peso.
Se i vostri discorsi, per puro caso, dovessero piacermi
allora, io velo giuro, mi chinerò».
Dice di sentirsi diversa dalle ragazze della sua età.
«Per la maturità con cui affronto le situazioni, per il mio essere calcolatrice, razionale, fredda. Rigida con me stessa quasi fino all’estremo».
Una specie di auto-punizione, mi viene da dirle. E lei conferma.
«Ma non so da cosa derivi. O, forse, preferisco non pensarci».
Si richiude a riccio nella sua bottiglia, soprattutto quando si inizia a parlare di sesso e di amore. Mi risponde subito, senza esitazioni. «Vivo istintivamente entrambe le cose». Poi aggiunge, dopo qualche secondo: «L’amore, forse, con più razionalità».
Una forma di difesa, quindi. Ma lei preferisce non parlarne ed evita abilmente la domanda.
«Vuoi una Valeria che toglie la sua maschera», mi dice, «che si spoglia dai ruoli che recita?»
Maschere? Ruoli? Siamo a un punto fermo ed è frustrante non riuscire a scavalcare questo muro di diffidenza.
«Le maschere sono le mie compagne di gioco. Mi aiutano in situazioni difficili, lasciandomi nascondere i miei sentimenti. Non ho più voglia di donare perle a chi non ne conosce il valore». E aggiunge: «Mi limito ad accontentare le persone… se loro vogliono apparenza io li accontenterò, se vogliono il corpo è quello che gli darò, se vogliono finti sorrisi gli lascerò credere di essere allegra».
Un modo per sopravvivere, lo chiama. Per giocare con le persone come loro giocano con lei.
«E se cadono le maschere», le chiedo, «allora che si fa?».
«Restano i fili», risponde, «i fili di seta e lame che tendo verso le persone… rendendole misere marionette. Il blog è solo un modo per combattere i muri di silenzio che mi sono imposta nella vita reale, quelli per cui non riesco a parlare mai».
Le chiedo come si possa riuscire a sbloccarla. Mi chiedo cosa mai possa essere successo a una ragazza così giovane per farla diventare così chiusa nel suo guscio.
«Tre sono gli avvenimenti che mi hanno cambiata e che mi hanno portato a essere la bambola di plastica che sono. Tre segreti chiusi in un cassetto di cui solo io ho la chiave».
Dolcezza, smisurata, incontenibile dolcezza, è quel che ho provato entrando in Plastic Doll.
I suoi venti anni i miei venti anni, dopo venti anni.
La diversità sta nel mio sbandierare, decantare, la mia verginità come forza, potenza, condizione che mi poneva al di sopra degli altri, che non chiamavo al mio cospetto, perché erano già li a domandare.
La diversità sta nel mio volere il giudizio altrui, perché mai temuto.
La diversità è nel colore del velluto tessuto d’ansia che scivolava dentro me, è tutt’ora rosso scarlatto.
La diversità sta nel mio non ascoltare mai.
Ma le maschere quelle si che sono sue come sono mie.
Quanto ai segreti, bhe, forse ne ho di più, ma, magari, fra venti anni…
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Siamo tutti come un cassetto pieno di svariate cose. E tutti abbiamo uno scomparto segreto. Uno di quei cassettini che hanno lo stesso colore del fondo e rimangono nascosti, ma solo agli occhi di chi non sa guardare veramente.
Sbandierare i propri segreti per poi farli restare tali credo sia anche una piccola e tenera richiesta di attenzioni.
E forse le maschere appartengono un po’, in misure diverse, a ognuno di noi.
Basta solo che, davanti allo specchio, faccia a faccia con noi stessi, si riesca a tirarle via e a guardarsi negli occhi con un sorriso, e mai con un rimprovero.
Grazie del passaggio bocconcini 😉