Nel mondo attuale c’è un disperato bisogno di scrivere. Il guaio è che non leggiamo abbastanza
Con oggi, si conclude il nostro viaggio nel mondo dei lettori, e a sostituire una vera e propria intervista, vi proponiamo la considerazione proprio di un lettore, Sandro Abis, sui dati Istat, i quali danno notizie poco confortanti, confermandoci che gli italiani leggono sempre meno; secondo il tuo personale punto di vista, perché questo scarso amore per i libri, visto che siamo un popolo che vanta un numero impressionante di aspiranti scrittori? Strano e inquietante paradosso…
Se non ricordo male, le statistiche che mi è capitato di leggere sui giornali riguardano in realtà il numero di libri venduti, che naturalmente non tiene conto del fatto che in una famiglia più persone hanno accesso agli stessi libri, dei prestiti tra amici e delle biblioteche. Non so se esistano statistiche attendibili sulle effettive letture, anche se è presumibile che, comunque, a un calo delle vendite corrisponda anche un certo calo di queste ultime, forse solo non così catastrofico.
Prendiamo a esempio la narrativa, per semplificare il discorso. L’impressione che io ho è di un crescente distacco tra pochi grandissimi successi e uno sterminato numero di prodotti letterari che, non ottenendo visibilità, rimangono celati nel vasto mare di una produzione che probabilmente eccede la domanda.
Insomma, l’editoria moderna mi sembra una savana, una distesa indistinta di fili d’erba tra i quali spuntano pochi alberi che attirano lo sguardo. In realtà, se considerassimo la fruizione di narrativa nel suo complesso, potremmo accorgerci che, semplicemente, la carta stampata ha da tempo perso il suo primato, un tempo non lontano quasi monopolio, sulla trasmissione delle storie a vantaggio di altri media. Fumetti, cinema, televisione, internet e videogiochi sono pur sempre modi per raccontare storie, anche se in modo diverso e mettendo in moto processi cognitivi differenti. Anzi, credo che internet abbia riavvicinato molti alla lettura.
Io considero positivamente la digitalizzazione della scrittura: è già possibile possedere un’intera biblioteca in palmo di mano con gli ebook e questo, nel medio-lungo termine, avrà forse anche una ricaduta positiva sul piano ambientale, se unito ad altre spinte positive. La lettura di un libro è impegnativa, richiede molto tempo e soprattutto difficilmente lascia spazio ad altre attività svolte in contemporanea.
In una società malata di stress cronico, dove abbiamo sempre meno tempo libero e più cerchiamo di averne meno ne abbiamo, è chiaro che le attività percepite come più faticose e richiedenti tempo, assiduità e attenzione tendono a venire escluse. Inoltre, la lettura dei libri è quasi sempre solitaria, a differenza della fruizione dei film: nella società attuale, per molti l’idea di passare tempo soli con sé stessi ha assunto connotazioni negative a priori. Perciò si legge soprattutto a letto prima di addormentarsi o sdraiati in spiaggia.
Che molti siano aspiranti scrittori non mi sembra una contraddizione (credo anche che questi miti stiano perdendo parecchio terreno rispetto a quelli televisivi). Come dico sempre, scrivere significa comunicare. La contraddizione apparente sta, semmai, nel fatto che più cerchiamo il contatto con gli altri più ci sentiamo soli. Siamo al centro di un eccesso di comunicazione, da e verso di noi, ma questa comunicazione (oltre ai noti problemi di sovraccarico cognitivo) ha il grave difetto di perdere la dimensione dell’intimità. Scrivere una storia è un modo per recuperare l’intimità, la profondità e la ricchezza della comunicazione: con gli altri ma, prima di tutto, con noi stessi. Nel mondo attuale c’è un disperato bisogno di scrivere. Il guaio è che, se non leggiamo abbastanza, poiché la scrittura è rielaborazione di ciò che conosciamo, finiremo per avere pochi ingredienti nella nostra dispensa e per preparare piatti banali, insipidi, insoddisfacenti.
Foto | austinevan
Sono complessivamente d’accordo sulle considerazioni espresse nell’articolo. Mi sembra molto efficace la metafora della savana come “distesa indistinta di fili d’erba”collegata ad un’editoria che non sa fare emergere i propri prodotti. Ricordo che una delle ipotesi per spiegare la stazione eretta che contraddistingue la nostra specie consiste nella necessità di poter guardare oltre la “distesa indistinta” e poter mettere a fuoco i propri obiettivi (nemici e/o prede nella preistoria, oggi – oltre agli stessi – “oggetti” di qualità).Quello che intendo dire è che auspico un ritorno di miglior senso critico e maggiore attenzione da parte di chi (scrittori/lettori/editori/librai…)comunque continua ad avvicinarsi al mondo dei libri, i quali – in digitale o tradizionalmente stampati – hanno bisogno di una messa a fuoco non “indistinta” e una capacità/volontà di riappropriarsi – in continuità coi nostri progenitori – di quel senso avventuroso dell’esistenza. L’avventura di scegliere e scegliersi, tanto per fare un esempio.
E’ così. Le ragioni possono essere diverse. Cerco di fissarne qualcuna, così come mi vengono. 1. i libri sono cari 2. spesso sono rilegatissimi con odiose copertine rigide, sembra una sciocchezza ma sono elementi che non creano una confidenza 3. quando sono tradotti, spesso lo sono male, comunque hanno un italiano “piatto”, che annoia quando non arriva a disturbare 4. le case editrici, quelle grandi soprattutto, si prestano a essere oggetto di dialettiche più adatte alla politica, anche questo allontana 5. quando un autore ha fortuna con un libro, che magari è bello, spesso va a ruota libera con altri dieci titoli che non dicono niente: voglio dire che funziona il mercato anche qui, mentre ci vorrebbe più selezione 6. non siamo in una fase storica che sappiamo ascoltare 7. non siamo in una fase storica che siamo disposti a un po’ di solitudine in compagnia di un amico libro 8. non è facile (quest’ultima x me è la ragione principale) trovano un autore che voglia davvero farci lavorare con la nostra testa. Tutto ti viene spiegato, niente è lasciato all’immaginazione, si eccede in particolari, invece che andare a cercare le emozioni del lettore. 9. le librerie sono dei supermarket, invece che luoghi di cultura. Spesso ci si entra anche senza una idea precisa, è un momento importante, sarebbe giusto essere accolti e incoraggiati ad uno scambio, naturalmente senza invadenza. 10. gli editori non si caratterizzano, anche questo elemento crea confusione, allontana un approccio più confidenziale