Mario Monicelli (1915-2010). Facciamo parlare il silenzio
Ci ha lasciati, con un volo senz’ali in una sera di pioggia, il grande Mario Monicelli. Superfluo raccontare di lui, della sua storia che alla storia del cinema resterà, e di tutto ciò che ci lascia in un per sempre che non conosce interruzioni, e che supera anche l’ostacolo della morte.
Vorrei invece difendere la sua scelta, l’ultima, quella che fa tanto discutere e ipotizzare sui forum, nei blog, nelle attese dal parrucchiere, su Facebook. Ho potuto constatare che sono in tanti a dedurre che sia morto di solitudine, poiché “un uomo amato muore nel suo letto, tenuto per mano dai suoi cari…”
Mi è parsa, questa come altre, una considerazione talmente superficiale e riduttiva, una visione così limitata e limitante… Perché sta a significare che soltanto chi è solo ha paura, soltanto chi è solo rifiuta di finire i suoi giorni consumato da un male che fin troppo spesso non lascia speranza.
Davvero chi è amato non teme la tortura fisica e psicologica di un conto alla rovescia? “A novantacinque anni non ci si suicida”, si è detto. Non quando ci si è arresi, no, non quando si è oramai esausti e quel letto d’ospedale rappresenta l’ultimo porto, certo. Né quando le forze vengono meno. Oppure non quando si spera, a dispetto di tutto. Perché anche questo accade.
Ma voi, voi tutti, avete mai ascoltato le parole di Mario Monicelli, anche le più recenti? Caparbio, lucido, attento. Vivo. Sempre. E allora ditemi, voi che vedete dietro il suo gesto la solitudine dei non amati, vi pare questo un uomo che accetta – dopo novantacinque anni di vita intensa – di essere divorato e consumato dal cancro? Di perdere l’intelletto, cosa a lui estremamente preziosa, permettendo al male e alla morfina di scollegarlo dalla vita e dal pensiero? Ha scelto. Ha fatto ciò che in tanti nella sua condizione vorrebbero avere il coraggio o la forza di fare. Ha deciso lui, in barba a sentenze mediche, o a discorsi sulla sacralità della vita. Un’ultima dimostrazione di forza. E la morte lo ha colto vivo.
Rispettiamo la sua decisione, che di rispetto ne merita tanto, e rispettiamo il dolore dei suoi cari, evitando di parlare di vuoti affettivi o di solitudine. In segno di stima, facciamo parlare il silenzio.
Ciao Mario.
“Parlare il silenzio”: pero el silencio tiene q tener algun sentido, sino es como la idea sin sustento…el silencio debe hablar ..el silencio, debe tener intencion y fuerza ..no siempre es bueno callar, no siempre es bueno decir…..Marga
sono profondamente daccordo con te mario…penso che le tue parole sarebbero state condivise anche dal tuo più grande amonimo.la sua morte mi ha commosso e reso triste per giorni,e quello che mi fa rabbia è il totale distacco del mondo dello spettacolo, non curante, vago, ma soprattutto distaccato.forse la scelta di un vero uomo libero rende le persone più coscienti della gabbia in cui vivono e del coraggio che non avranno mai. gresy