A cinquant’anni dal disastro del Vajont: una poesia di Erri De Luca
Cinquant’anni fa, il 9 ottobre 1963, ci fu il disastro del Vajont: alle 22,39 di quel giorno una frana dal monte Toc cadde nell’invaso creato con la diga. L’esondazione distrusse i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè e la parte bassa dell’abitato di Erto; vennero rasi al suolo Longarone, Pirago, Maè, Villanova, Rivalta. Subirono danneggiamenti i centri di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna, come anche i comuni di Soverzene, Ponte nelle Alpi. Nella città di Belluno venne distrutta la borgata di Caorera e allagata quella di Borgo Piave. Una tragedia evitabile, come ebbero a dire le Nazioni Unite nel 2008, in occasione dell’Anno internazionale del pianeta Terra, imputando le cause al «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare».
A distanza di tanti anni il disastro del Vajont è ancora una ferita aperta nella nostra storia. Noi vogliamo ricordarlo con le parole della poesia Diga di Erri De Luca, contenuta nella poesia Opera sull’acqua e altre poesie.
Chiasso di acque nei cieli, «hamòn màim bashamàim».
Così un profeta intese la voce che grondava su di lui
da un acquario di stelle.
Ascolta un altro chiasso,
una montagna intera che sfracella sopra l’invaso di una diga.
Era di notte, aggredite dal crollo
esplosero le acque verso l’alto a strappare le case di Erto e Casso
dai pendii a meridione e poi di nuovo in giù, acque su acque,
oltre la muraglia-sgabello a sradicare a valle Longarone,
lago, fiume e tempesta di Vajont, duemila nostri spenti.Ascolta il tutto del sangue quando l’amore stringe:
moltiplicalo per il quadrato delle stelle fisse,
per il grido del capretto sgozzato ogni Pasquanatale,
per la sega del fulmine e il piccone del tuono,
aggiungilo agli schianti del bosco cancellato,
larici, abeti, càrpini, betulle, cervi, gufi, lepri, martore,
uova, ali, zampe, artigli stritolati: e poi dividi
per il silenzio di un minuto dopo. Non giocare con l’acqua,
non chiuderla, frenarla, è lei che scherza
dentro grondaie, turbine, ponti, risaie, mulini e vasche di saline.
È alleata col cielo e il sottosuolo,
ha catapulte, macchine d’assedio, ha la pazienza e il tempo:
passerai pure tu, specie di viceré del mondo,
bipede senza ali, spaventato a morte dalla morte
fino a metterle fretta.
hamòn màim bashamàim: il riferimento è al libro del profeta Geremia, capitolo 51 versetto 16, che nella traduzione recente della Conferenza Episcopale Italiana così suona: “Al rombo della sua voce rumoreggiano le acque nel cielo”.
A cinquant’anni dal disastro del Vajont, Focus ha realizzato un bellissimo servizio multimediale esclusivo: http://dentroilvajont.focus.it/
Nel sole in bianco e nero
del dopoguerra i bambini
sanno della montagna
che cammina.
Li immagino che si tramandano
questa gioiosa innocua notizia
fatta di pantaloni corti nell’inverno,
borse di cuoio, quaderni
Perché assecondare sempre
l’arroganza del progresso
e non ascoltare la sapienza
dei bambini, che è la sapienza
degli antenati che tutta consiste
nel monito dei toponimi:
Toc, patoc
Vajont,
va giù
Mi domandavo, non avendo letto altrove questa poesia, se al verso
“per la sega del fulmine e il piccole del tuono,”
ci fosse un errore di trascrizione e si intende “piccone”, o se invece è davvero scritto così.
Grazie
Buongiorno, grazie del suo commento. In effetti è stata di una nostra svista. Come giustamente nota lei, si tratta di «piccone». Abbiamo corretto nel testo.