
Contro il sacrificio, di Massimo Recalcati
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Aspetti negativi
«Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale» è un saggio di Massimo Recalcati che affronta argomenti complessi in maniera agile.
Massimo Recalcati, Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale
Di quale sacrificio si occupa Recalcati nel suo nuovo saggio Contro il sacrificio? Lo chiarisce subito nei primi paragrafi del libro: «Il programma della Civiltà impone una “rinuncia pulsionale” – un sacrificio di godimento – come biglietto di entrata del soggetto nella comunità umana. Definiamo questo sacrificio “sacrificio simbolico”».
Parliamo, in soldoni, della capacità umana di differire un bisogno, di controllare un desiderio, di rinunciare/sacrificare alcune aspettative in vista di un altro bene: la vita in comune, il raggiungimento di un traguardo e via dicendo.
Purtroppo, il concetto di sacrificio che alberga in noi e si estende alle nostre relazioni non è di tipo “sano’”, ne è invece una visione distorta, lontana dal mondo naturale.
Il mondo animale rifiuta il sacrificio perché non esiste in Natura qualcosa come un istinto di sacrificio. In natura troviamo solo l’istinto di sopravvivenza, un istinto vitale che rifiuta risolutamente ogni rapporto con la morte.
Questa visione distorta si è spesso sviluppata con la complicità di un mal interpretato messaggio evangelico e ha generato quello che Recalcati identifica come il fantasma sacrificale.
L’adorazione per il sacrificio ha i tratti di una perversione e, come tale, può solo essere umana.
Contro il sacrificio
Il sacrificio non avviene più in vista di un fine, ma diviene esso stesso il fine. Il soggetto che lo agisce si percepisce sempre colpevole e l’atto del sacrificio può avere due diverse implicazioni: consentire al soggetto di qualificarsi come creditore eterno nei confronti delle persone/divinità per cui si sacrifica (si aspetta in cambio il paradiso, l’amore, una ricompensa); impedirgli di vivere a pieno una libertà d’azione che lo terrorizza.
Recalcati evidenzia le conseguenze patologiche di questa dinamica, che opera al di fuori della produttiva dinamica dialettica tra legge e desiderio. Tuttavia, leggendo il libro, credo che ciascuno di noi non faticherà a riscontrare nella propria esistenza e in quella delle persone a lui/lei legate l’adesione a un sacrificio castrante.
Non sacrifichiamo più animali sugli altari, non sacrifichiamo i nostri averi, i nostri primogeniti, ma non chiudiamo neanche più la partita: il sacrificio è sacrificio di sé, delle proprie possibilità e di quelle altrui e dura in eterno. L’infelicità è quasi un risultato e non una condizione da alleviare.
Il richiamo ai racconti della Bibbia (in questo libro particolare è il riferimento a Matteo 20, 1-16) si rivela fondamentale per la comprensione di una serie di meccanismi. Dio aveva impedito ad Abramo di uccidere il proprio figlio, Isacco, ribadendo che non esige sacrifici; Gesù, suo figlio, è la vittima sacrificale per eccellenza, che esimerà i suoi figli/fratelli dal compiere il medesimo percorso. Il padrone della vigna, che paga a tutti gli operai lo stesso compenso, cerca di estromettere la dinamica sacrificio-ricompensa dalla relazione degli uomini con Dio. Un Dio che non si aspetta una continua auto fustigazione in cambio di qualcosa, ma la comprensione profonda del suo messaggio e un impegno, un’azione che porti al compimento di sé e del proprio progetto:
La Legge non viene invocata come una briglia repressiva finalizzata a disciplinare l’eccedenza del desiderio, non è più ‘contro’ ma ‘con’ il desiderio. Si tratta di abbandonare una concezione colpevolizzante della Legge per ricondurre la sovrabbondanza della vita alla responsabilità del soggetto: cosa ne hai fatto?