
Il Regno, di Emmanuel Carrère
Aspetti positivi
Aspetti negativi
Affilato, ironico, consapevole tanto delle proprie capacità, quanto dei propri limiti ne «Il Regno» Emmanuel Carrère affascina e conquista il lettore.
Emmanuel Carrère, Il Regno
Quando mi hanno consigliato di leggere Il Regno, dello scrittore francese Emmanuel Carrère, ho storto il naso. Mi ero immersa con un certo dispiacere nella sua biografia dello scrittore russo Eduard Limonov: piena di dettagli trucidi di cui avrei fatto volentieri a meno, non mi aveva entusiasmata. Ho un netto rifiuto per una certa contemporanea letteratura e sceneggiature che cercano di affrontare il realismo attraverso la pornografia dei dettagli (umori corporali, rumori corporali, efferatezze, fantasie distorte). Comunque, data l’insistenza del mio interlocutore, l’indubbia capacità narrativa di Carrère e il tema affrontato, mi sono decisa all’acquisto, convinta che avrei avuto da discuterne col mio consorte, appassionato di studi teologici. In effetti, ho felicemente riallacciato i rapporti con l’autore e me ne sono goduta ogni singola riflessione.
Questo Carrère, che in Italia è arrivato con voce e traduzione felice di Francesco Bergamasco, è un uomo alle prese con i propri fantasmi, che sembrano poter essere esorcizzati, a un certo punto, dalla fede. In tre anni compie un percorso di andata e ritorno nei meandri del buon cristianesimo e come molte conversioni tardive anche la sua parte in quarta e si trasforma, più che in un cammino di ricerca, in un’esperienza totalizzante: si sposa in chiesa, battezza il figlio, va a messa tutti i giorni e tutti i giorni legge il vangelo di Giovanni. A fargli da guida, un’amica di famiglia, che si pone come riferimento nei confronti di altri neo convertiti e che accoglie, come dire, il suo passaggio dal lato oscuro a quello della luce.
Nel percorso di ritorno all’ateismo, che compirà poco dopo, Carrère non butta via il bambino con l’acqua sporca, ma porta con sé interessi, suggestioni, pensieri, che lo condurranno a scrivere Il Regno, seguendo le tracce del proprio percorso nella prima parte e di quello di Luca e di san Paolo nella seconda.
Il mio parere su «Il Regno» di Emmanuel Carrère
Affilato, ironico, consapevole tanto delle proprie capacità, quanto dei propri limiti, il nostro affascina e conquista il lettore, che, se non credente, può concedersi una passeggiata nel mistero religioso senza tema di derisione. Chi invece ha conosciuto da vicino la fascinazione della fede, lo scontro con la razionalità, il tormento del dubbio, si ritroverà nel suo percorso, pur avendo magari intrapreso una strada diversa dalla sua e non condividendo alcune sue interpretazioni.
Ho trovato ne Il Regno di Carrère un uomo non consapevole fino in fondo del proprio cammino di ricerca, ma sottile in quanto ad analisi e lettura di come un essere umano si muova a caccia, come direbbe Battiato, di «un centro di gravità permanente». Centro che, ahimè, non esiste o meglio, può esistere solo se consideriamo la verità, sui noi stessi e sulla vita, non un tesoro acquisibile una volta per tutte, ma un percorso, una tensione, una ricerca priva di risposte totalizzanti come un presunto e mancato primordiale amore.