
Se mi tornassi questa sera accanto, di Carmen Pellegrino
Aspetti positivi
Aspetti negativi
Carmen Pellegrino in «Se mi tornassi questa sera accanto», racconta della distanza che può esserci tra gli essere umani, specie se si sono amati.
Carmen Pellegrino, Se mi tornassi questa sera accanto
Se mi tornassi questa sera accanto, è il secondo romanzo dell’amata «abbandonologa» Carmen Pellegrino, pubblicato da Giunti. L’autrice, affascinata da paesi abbandonati, da ruderi e macerie a tal punto da dar loro voce e sentimenti, coniò il termine «abbandonologa» facendone un mestiere (ricordate la nostra recensione di Cade la terra?), e anche in questo romanzo si può in parte – e in modo differente – respirare l’idea del passato che è presente, grazie alla memoria. Ma se in Cade la terra la memoria faceva parte delle vecchie case, delle piante, degli animali, in Se mi tornassi questa sera accanto è la memoria di un padre ad affiorare.
Giosuè Pindari, ama l’acqua, la politica, la sua famiglia, sua figlia. Ma, tranne l’acqua che scorre sempre e comunque, lui finisce per perdere affetti e ideali, per ritrovarsi solo, incapace di comprendere. La politica lo ha deluso, provocando in lui grande amarezza, sua moglie Nora si è ammalata di quella che lui chiama «una forma di malinconia», sua figlia Lulù se n’è andata per sopravvivere al cappio di situazioni e affetti che rischiavano di strangolarla. Solo il fiume, resta. L’acqua che scorre, e che cela percorsi sotterranei ma non ci abbandona. E dunque è al fiume, che Giosuè decide di offrire dei messaggi chiusi in bottiglie, messaggi che sono lettere a sua figlia. Sfoghi, domande, tentativi di comprendere, richieste d’amore oppure offerte, e ricordi, memorie…
Al fiume, affiderò le lettere, ciascuna in una bottiglia. Le darò al fiume, a quest’acqua che sgorga dalla terra. Sai, Lulù, ho fiducia nelle cose che vengono da lì: la terra non mi ha mai tradito.
Non è reale, per Giosuè, ciò che in un referto medico è stato scritto sulla malattia di sua moglie: declino irreversibile. Possono tanto, le parole, ma dovrebbero essere quelle giuste. E così, quest’uomo antico, cerca il contrario di declino, e trova «ascesa, aumento, fioritura»… Ebbene, la rassegnazione è ciò che rende concreta una brutta parola, dunque ecco la soluzione, data da parole buone, che tutto trasformano e che lui regala a Lulù: «Ho promesso a Nora che un giorno nel referto troveremo scritto fioritura irreversibile».
Non vogliamo raccontarvi per esteso la trama, o gli incontri, o gli intrecci abilmente inseriti tra le pagine. Vogliamo parlarvi della poesia che nel romanzo – ma anche in ogni testo di questa meravigliosa autrice – affiora abbracciando il lettore.
Vogliamo parlarvi dei limiti e debolezze dei protagonisti, della loro incapacità di mostrare o dare amore, e di quella ancor più mutilante capacità di amare «male». Non troppo, non poco, ma male. Tanto male da costringere chi vuole salvarsi a fuggire, e magari a star male comunque, oppure a sopravvivere. Vogliamo parlarvi di quelle altre macerie, di quegli altri abbandoni, che Carmen Pellegrino qui mostra, e di quegli amari scherzi della memoria, del destino, o delle radici che imprigionano. I ricordi, il passato che non passa, la memoria densa di abbandoni ma che tuttavia non ci abbandona concedendo la grazia del non ricordo. E la fede, che aiuta o illude… chi può dirlo.
Fra Dio e me, se così posso dire, esisteva un accordo: lui non mi annientava, io non ne negavo l’esistenza. Quando avevo bisogno di parlargli, andavo segretamente lungo il fiume e su quella riva lo cercavo. La nostra comunicazione era povera, essenziale, ma ci tornavo spesso. Lo faccio anche ora che sembra diventato un torrente dalle acque incostanti.
E sta là, Giosuè, con il tempo che scorre via come l’acqua, e non sa più a chi davvero si rivolge, perché
su quella riva muta dove ti aspetto, non so più se parlo a un dio o alle acque, se parlo alla terra o a me stesso, scavato anch’io come una fossa.
Rimpianti, tenerezze, il delicato equilibrio di un rapporto o non-rapporto tra padre e figlia, una madre che non sa usare le braccia per stringere a sé sua figlia, che di quelle braccia ha bisogno per andare incontro al futuro senza la ferita dei non amati.
Il titolo scelto per questo romanzo, è già ispiratore di distanze, di mancanze che generano vuoti: Se mi tornassi questa sera accanto, incipit della bellissima poesia A mio padre, di Alfonso Gatto.
Un libro da leggere, struggente e scritto per tutti coloro che conoscono la densità di tutto ciò che ad altri appare astratto.