
The devil in the kitchen: Marco Pierre White si racconta
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«The devil in the kitchen» è l’autobiografia di Marco Pierre White, primo chef inglese (e il più giovane del mondo) ad aggiudicarsi tre stelle Michelin.
Marco Pierre White, The devil in the kitchen
Difficilmente si sfugge nel corso della giornata alla proposta televisiva ossessivamente incentrata sulle mille sfumature della cucina e del modo in cui trattare nella maniera migliore o più originale i prodotti della tradizione e quelli che occhieggiano dagli scaffali dei supermercati e che contribuiscono a una commistione coraggiosa di tradizioni e, nel caso specifico, di sapori. Con queste premesse il nome di Marco Pierre White, uno degli chef più noti al mondo, non dovrebbe generare sorprese.
Si sarebbe portati a pensare che buona parte della vita di uno chef ruoti esclusivamente intorno al cibo e alle tecniche per trasformarlo o esaltarlo. Sorprende, allora, leggere che The devil in the kitchen, l’autobiografia dello chef britannico, faccia spazio a quella che potremmo definire «vita vissuta» e non è un caso, perché l’esperienza umana entra prepotentemente nei piatti di Marco Pierre White condizionandoli, colorandoli, donando loro delle sfumature di gusto che sarebbe difficile evocare partendo da una pagina bianca. Ecco allora che il ricordo del gusto dei cibi consumati durante l’infanzia si pone come snodo fondamentale nel costruire emozioni che partono dal gusto per poi contagiare gli altri sensi e, fuori da ogni sbavatura romantica, toccare il cuore.
La professione, che nel tempo si matura, passa attraverso una preparazione puntigliosa e uno straordinario modo di apprendere e di ripercorrere gli inevitabili errori per perfezionarsi e capire i motivi profondi del fallimento perché lo chef non ama dare l’idea di una carriera illuminata solo da incredibili successi. Certamente uno chef pluristellato ha ben di che essere fiero eppure leggendo le pagine di The devil in the kitchen si notano la tenacia e la ferrea disciplina che hanno condotto Marco Pierre a livelli difficilmente equiparabili.
Ciò che personalmente ho trovato toccante è la profonda umiltà dell’uomo che ha ben chiaro il proprio compito e più ancora le proprie responsabilità. Uomo severo, schivo, ma capace di gesti di calda umanità, lo chef Marco Pierre White si pone come uno degli epigoni dell’arte culinaria contemporanea e, mi sia consentito, come monito severo per quei cuochi che all’arte antepongono la smania di successo e di fare audience.