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Addio a Vidia Naipaul, l’indiano nato in Centramerica che scriveva in inglese

“Mi sento troppo vecchio per scrivere, ma ho ancora tanti libri nella testa. Mi piacerebbe farlo ancora, ma dentro di me ci sono i personaggi e le storie dei miei libri, è come se li sentissi cantare ed è molto difficile cominciare quando sento tutte queste vecchie parole che ho scritto”. Così Vidiadhar Surajprasad Naipaul – per tutti solo Vidia – raccontava la sua vita a un giornalista in un’intervista  di qualche anno fa, alla vigilia degli ottantuno anni. Oggi, lui che del viaggiare aveva fatto necessità e tesoro per i suoi libri, ma anche per la sua vita, con le origini che affondavano le radici nel continente asiatico, la nascita in un’isola dei Caraibi e l’esistenza passata nella campagna inglese della vecchia Europa, ha iniziato il suo ultimo viaggio: quello oltre la vita terrena.

Il viaggio di Naipaul

Che fosse stanco di viaggiare, anche solo indietro nel tempo, nel ricordo della sua infanzia (“Quando s’inizia a scrivere si sfruttano i materiali tratti dalla propria infanzia, poi questa fonte si esaurisce ed è qui che il viaggio ha assunto valore estendendo la mia conoscenza del mondo”), l’aveva già fatto capire nel 2001, anno in cui, con i riflettori puntati sulle Torri Gemelle venute giù, non si parlò poi tanto del suo premio Nobel, assegnatogli “per aver unito una descrizione percettiva a un esame accurato incorruttibile, costringendoci a vedere la presenza di storie soppresse”. Il riconoscimento massimo di consacrazione del lavoro di uno scrittore, per lui, si ventilava fin dal 1973, ma si concretizzò  quel giorno di diciassette anni fa lui aveva le lacrime agli occhi, che spiegò così: “Ho faticato tanto per arrivare fin qui. Il Nobel era una sfida, ora è finita, ora sono solo un uomo vecchio”.

In realtà qualche perla, da allora, ce l’ha regalata. Per rimanere solo nell’ambito della narrativa: La metà di una vita (2002), è la storia del giovane indiano, Willie, figlio di un asceta che negli anni Cinquanta si trasferisce in Inghilterra, vive come un bohémien ed entra in contatto con i primi tumulti razziali di Londra; e Semi magici (2004) ritrova un Willie ormai maturo che da Berlino, dove vive da un po’, decide di tornare in India al seguito di un gruppo di guerriglieri separatisti e non potrebbe avere altro destino, uno come lui, cittadino del mondo ma che in fondo non si sente a casa in nessun luogo.

Il massaggiatore mistico, il suo capolavoro

Il suo capolavoro indiscusso, però, resta anche il suo esordio: Il massaggiatore mistico del 1957, ambientato a Trinidad negli anni tra le due guerre e in un’isola ancora, quindi, interamente sotto il dominio britannico. Qui, dove s’incrociavano i destini di africani, nativi, colonizzatori e colonizzati, Naipaul sceglie di descrivere la vita della comunità indiana perché da quella lui veniva ed era ciò che conosceva meglio. D’altronde scrivere e per lui un’autoimposizione, un diktat respirato in famiglia, dal padre, anch’egli amante delle parole, dell’inchiostro e della carta e con ambizioni di diventare scrittore. Possedeva una macchina per scrivere e tanto senso del dovere che trasmise per osmosi, e non solo, al figlio: l’imperativo era farcela fin dall’infanzia, l’obiettivo laurearsi a Oxford e conquistare una scrittura in inglese migliore di quella degli inglesi stessi. Per molti anni, quelli in cui la sua scrittura fu più prolifica, lo si vedeva per giorni seduto alla finestra a riordinare le idee e a scegliere con cura il vocabolo migliore, per poi magari svegliarsi in piena notte e sostituirlo in tutta fretta nella bozza del suo libro.

Altri libri di Naipaul

L’obiettivo Oxford, però, lo deluderà, come fece chiaramente capire nel saggio Jasmine in cui dà mostra sì di apprezzare quanto di nozionistico ha imparato in quegli anni, ma anche di criticare come l’approccio alla letteratura nelle università sia troppo schematico e, per così dire, scientifico, freddo, privo di cuore.

Quel cuore Naipaul nelle sue opere lo ha sempre messo, anche nelle più criticate come La perdita dell’Eldorado che considerava il suo unico lavoro storico, ma al tempo stesso immaginifico, nato su commissione di un editore innamorato della sua città, Port of Spain. Fu dura per Vidia sovvertire le sue certezze e scoprire che Trinidad non solo non era stata “appena” sfiorata dallo schiavismo, ma aveva dovuto sopportare sofferenze e orrori da parte degli spagnoli, ma anche degli inglesi che annotavano e registravano tutto, perfino le brutalità. Non furono molto teneri neanche con lui, quando il libro uscì, nel 1969, e da allora in poi Naipaul dovette più volte difendersi da accuse di razzismo e di parzialità della visione da cui raccontava i suoi fatti.

Ma tutto questo, nella splendida residenza sull’Avon dove si era ritirato, appariva ormai molto, troppo lontano, rispetto all’orizzonte stretto dei cespugli di rose e mirtilli rossi, impermeabile al silenzio in cui si era nascosto negli ultimi anni, interrotto ogni tanto solo dal miagolio del fido gatto Augustus.

Foto | By Faizul Latif Chowdhury [CC BY-SA 4.0 ], from Wikimedia Commons

Roberta Barbi: Roberta Barbi è nata e vive a Roma da 40 anni; da qualche anno in meno assieme al marito Paolo e ai figli, ancora piccoli, Irene e Stefano. Laureata in comunicazione e giornalista professionista appassionata di cucina, fotografia e viaggi, si è ritrovata da un po’ a lavorare per i media vaticani: attualmente è autrice e conduttrice de “I Cellanti”, un programma di approfondimento sul mondo del carcere in onda su Radio Vaticana Italia. Nel tempo libero (pochissimo) si diletta a scrivere racconti e si dedica alla lettura, al canto e al cake design; sempre più raramente allo shopping, ormai rigorosamente on line.

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